Continuiamo lo scorrimento dei ricordi di Giovanni presentando un suo scritto che descrive la figura di padre Luigi Rinaldini, sacerdote Filippino di forte tempra umana e spirituale. Giovanni fu testimone della rinascita dello scautismo bresciano che ebbe fulcro alla Pace, per cui lasciò molti scritti sulle persone avvicendatesi e sui fatti della città, tra questi – per l’appunto – padre Rinaldini, assistente scout del primo Gruppo bresciano. Di Padre Rinaldini descrive le scelte che lo condussero sui sentieri della Resistenza (è fratello di Emiliano, comandante partigiano, fucilato nel ’44 in Val Sabbia) e ne tratteggia il profilo spirituale e di educatore, quasi mettendo in continuità le due esperienze. Padre Luigi realizzò, infatti, la volontà del fratello Emi di rifondare gli scout, diventando A.E. del Brescia 1° della Pace e formatore di Capi. Giovanni scrive di padre Rinaldini: “Egli si è sempre interrogato e confrontato sulla spiritualità scout per proporla ai capi quale asse portante della metodologia educativa dello scautismo cattolico“. È proprio dall’esperienza giovanile dello scautismo che Giovanni trae lo stile di servizio agli altri che lo ha poi portato, insieme ad altri “ex-capi scout”, alla fondazione nel 1983 dell’attuale Centro Affidi.
(Data la lunghezza di questa traccia abbiamo pensato di suddividere il testo in due parti)
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Padre Luigi Rinaldini-Zi’ Bigio – Da cappellano dei Ribelli allo scautismo
Luigi Rinaldini, padre filippino dell’Oratorio di S. Maria della Pace,fu promotore e animatore dello scautismo bresciano dai tempi della rinascita nel ’45.
Durante la Resistenza fu coraggioso testimone di libertà con la sua presenza instancabile tra le Fiamme Verdi operanti tra Valle Camonica e Valle Sabbia. All’indomani della Liberazione si incontra, con due giovani amici, i maestri Gabriele Ferrari e Aldo Lucchese, anch’essi provenienti dall’esperienza resistenziale per formare all’oratorio della Pace un primo gruppo scout. Desiderava in questo modo realizzare il progetto “scout” a cui il fratello Emi, già pensava di dedicarsi, dopo i lunghi mesi passati sui monti valsabbini insieme a Gabriele e Aldo dove purtroppo invece si consumò il suo sacrificio di “ribelle per amore”. Nasce così nel giugno 1945 il primo reparto bresciano di cui divenne assistente ecclesiastico.
Non mi accingo a scrivere la sua biografia, sarebbe per me un compito troppo arduo e complesso. Intendo ricordarne la figura di assistente, ripercorrendo il suo pensiero di “prete scout” attraverso alcuni appunti ripresi dal suo diario. Figura carismatica,egli si è sempre interrogato e confrontato sulla spiritualità scout per proporla ai capi scout quale asse portante della metodologia educativa dello scautismo cattolico. A distanza di quarant’anni dalla Liberazione così scriveva Rinaldini (“Dagli appunti di un cappellano dei ribelli”, Giornale di Brescia numero speciale 25 aprile 1985):
“Ero stato ordinato sacerdote il 27 febbraio 1944 dal vescovo Mons. Giacinto Tredici, il quale, consacrando me proprio nella chiesa della Pace, compiva il suo atto di ribellione contro chi poco prima aveva incarcerato il mio superiore, padre Carlo Manziana. Per l’ultima volta erano con me tutti i miei familiari, poi carcere, deportazione e morte li colpirono tutti. E mi erano vicino anche Teresio Olivelli e vari altri amici che già operavano in montagna coi primi gruppi partigiani. Altarino da campo e veste furono i miei compagni inseparabili, di giorno ma anche di notte quando potevano servire come guanciale. Una volta servirono anche come tabernacolo notturno per custodire il Signore che la mattina dopo avrei comunicato ad un condannato a morte ”.
Quell’ altarino lo portava sempre con se anche ai campi scout, alle route con i rover o le scolte. Era il segno tangibile della presenza di Cristo sul suo cammino e sulla strada che stava percorrendo con i suoi giovani scout, strada verso la libertà dello spirito da ogni condizionamento, continuità ideale di quella già percorsa sui sentieri della Resistenza.
Ricordo quando, a Capo d’anno del 1951 noi rover del BS1, impegnati in una traversata sci- alpinistica, ci raggiunse a sera inoltrata al rifugio Magnolini. Lo vidi estrarre dallo zaino la “pietrasanta”, di notevole dimensioni e molto pesante, del suo altarino da campo. Con questa pietra sulle spalle ci accompagnò per tutta la nostra traversata sui monti innevati tra lago d’Iseo e Presolana.
Nell’immediato dopo guerra sempre col suo altarino da campo appresso, conduceva noi giovani scout sui sentieri della Resistenza perché potessimo captare lo spirito di libertà che si respirava in quei luoghi e tra quelle montagne bresciane. Non c’era sentiero che egli non conoscesse, sempre in cammino per portare. assistenza, conforto e notizie alle Fiamme Verdi dislocate sui monti delle tre valli bresciane. Un aneddoto curioso: racconta la staffetta partigiana Salva Gelsi, sorella laica delle Angeline che una sera si fermò per la notte da lei a Cividate Camuno. Per la grande stanchezza si addormentò mentre faceva un pediluvio e così rimase, con i piedi a mollo nell’ acqua, fino al mattino. Era molto riservato per quanto riguardava le sue esperienze personali e solo raramente si lasciava trasportare dal racconto. Strada, route, cammino, per incontrare il prossimo, scorgere negli altri il volto del Cristo, per esplorare, ma anche camminare nel silenzio per riflettere ed interrogarsi.
“Lo Scautismo – annota nel suo diario del 1955 quando era Assistente Provinciale – è questo ascetico esplorare che porta alla ricerca di Dio, questo solido vivere sotto le tende, che ricorda così plasticamente il paolino “abitatori di tende in viaggio verso la Dimora fissa”, questo supremo servire ad imitazione di Cristo. Immettere nella società dissanguata il sangue buono di uomini migliori perché scout, capi al servizio dei fratelli, “chef qui ouvre la route“.
Aveva particolarmente a cuore la formazione dei Capi, essenziale per la continuità dello scautismo:
“Lo scautismo sussisterà se ci sono degli uomini che lo impersonano e lo vivono così da consegnarlo a chi li segue. Questi uomini devono viverlo nel loro gioco di uomini, devono essere dei capi che aprono loro la strada, capi così semplici che in mezzo ai ragazzi sappiano donare interamente tutte le ricchezze della loro mente e del loro cuore e della loro esperienza, capi perciò che siano ricchi di una profonda esperienza di uomini, che conoscano l’esperienza degli altri in tutti i campi, soprattutto in quella della vita umana individuale e sociale, capi che vivano al loro posto di uomini e non siano assolutamente degli assenti, nemmeno per far giocare dei ragazzi . Li storpierebbero, non li formerebbero. Capi che come sanno esercitare il loro compito fra i ragazzi lo sappiano esercitare fra gli uomini, e che come lo esercitano fra gli uomini lo esercitano fra i ragazzi.
Capi che abbiano tutta la forza educativa di un papà, e tutta la ricchezza del cuore di un prete.
Pare troppo dimenticata questa lenta e paziente formazione di un capo, che non si può “trovare”, ma si deve man mano avvicinare, interessare, formare.
Prova di questa sua entrata nel movimento scout deve essere la sua promessa di capo (identica a quella del ragazzo) e l’atto di fiducia di affidargli dei ragazzi quando egli abbia dimostrato piena convinzione di volerli formare ad una vita leale,generosa, rude, di sacrificio. Impegno che si convalida con il suo impegno di vita rover per un certo periodo, così da fare dei principi scout i principi della sua vita e che trova la suprema convalida nell’impegno della “Partenza”, impegno spirituale preso nelle mani del proprio capo e di fronte all’Associazione, ma soprattutto di fronte al Cristo .In conclusione: formare tecniche sì, ma innanzitutto promuovere però questa adesione da parte di giovani capaci a questo movimento di impegno spirituale vissuto attraverso l’ascesi della Route. Il Capo deve arricchirsi di tutta l’esperienza già fatta dagli altri, ma deve riviverla con la propria testa, e darci il suo capolavoro”.
Fu assistente del Gruppo BS1 dal ’45 fino a quando, nei primi anni ‘50, passò la mano al confratello padre Giulio Cittadini perché impegnato alla costruzione della parrocchia di S. Antonio nel cuore di uno dei quartieri, allora, più difficili della città. Ne diverrà curato dando vita agli scout ed alle guide. Occuparsi di educazione dei giovani in questo quartiere oltre – Mella era difficile. Ricordo quando io, primo capo riparto ed il mio aiuto, l’amico Angeli Carreri, dovevamo recuperare ad uno ad uno i ragazzi in giro per il quartiere per farli venire alle riunioni serali (le riunioni si facevano la sera essendo quasi tutti impegnati per lavoro come garzoni od altro). Comunque tutti sono rimasti molto affezionati a zi’ Bigio ed a noi giovani capi, anche a distanza di tanti anni.
Gli stava molto a cuore il clan rover del BS1, che nel frattempo preso il nome di “Folke Bernadotte”1,e ne mantenne anche negli anni seguenti la guida come assistente. Per vari anni fu anche assistente provinciale dell’ASCI. Era sempre molto attento alle formazione dei capi ed autocritico verso se stesso. Osservava in occasione della partecipazione al primo corso per assistenti:
“Ritengo problema sempre più importante la formazione dei capi. La crisi dello scautismo oggi è crisi di capi. Non vale la pena di scandalizzarsi o perdere la fiducia se i riparti si fanno e si disfano, è logico, purché ne venga un miglioramento dei capi. Ritengo che la responsabilità più grave l’abbiano oggi gli assistenti. Difatti le deformazioni dello scautismo siamo noi a crearle, in noi e nei riparti. Coerenza personale ci vuole. Non dico che noi diventiamo istruttori, no! Però noi, riducendo all’ essenziale la tecnica scout, possiamo essere il metro, l’occhio magico che appena si compie un errore di metodo, appena l’istruttore o altri va fuori strada sa farlo rilevare con finezza di osservazione, perché lo scautismo è divenuto “sangue e vita”. Gli assistenti nel loro lavoro in riparto devono insistere di più sullo spirito dello scautismo, la sua spiritualità, la sua ascetica, le sue applicazioni e i suoi sviluppi. Serve un lavoro di studio sodo e metodico (con sussidio di libri e riviste internazionali, relazioni personale ravvivate nei convegni). A mio parere la posizione essenziale del sacerdote nello scautismo cattolico è quella di capo spirituale, quindi “vero Capo”. O avremo questa posizione, ovvero saremo dei bastoni fra i piedi, perpetuamente alla deriva.”
Il Roverismo e lo Scoltismo erano, e lo sono ancora oggi, fucina di Capi. In occasione della Pasqua 1956 si rivolgeva ai Rovers e ai Capi con un messaggio tutto imperniato sulla“Preghiera e la Liturgia”, rimarcando la necessità di una intensa vita spirituale:
“Fratelli Rover, è necessario che ognuno di noi prenda posizione di fronte a questo essenziale problema della vita umana. Per un Rover la vita è tutta un rapporto con Dio; non esiste roverismo, né come cammino, né come servizio, né come esplorazione adeguata alle umane aspirazioni, fuori dal Cristo. Ma per essere in Cristo il nostro cammino su questa terra come deve determinarsi? Questi pensieri vogliono aiutarvi a fissare la risposta nei vostri cuori. Meditateli da soli o con il vostro assistente, prima o durante le funzioni della Settimana Santa. Se partecipa le deve vivere, e per vivere un mistero occorre meditarlo. Raccoglietevi spesso in questi giorni; pregate molto; non siate dei superficiali. Lo splendore dei giorni a venire dipende da questo incontro con Cristo. Cristo viene … è ora ormai di sorgere dal sonno. Pasqua vuol dire << giorno del passar oltre>>. Il nostro vicendevole <<Buona Pasqua>> sia per noi rovers e per tutti i cristiani un effettivo << Buona Strada >> verso Cristo, vita nostra,vita eterna. Impegno a passar oltre, a superare le nostre visioni terrene per vivere già in Cristo dell’eterna vita”.
1) Folke Bernadotte politico e diplomatico svedese capo del movimento scout di Svezia. Durante il conflitto della 2° guerra mondiale liberò migliaia di prigionieri dai campi di concentramento nazisti. Dopo il conflitto fu “mediatore di “Pace” tra Israele e Palestina. Assassinato nel 1948 a Gerusalemme
Contemporaneamente indirizzava alle Scolte un messaggio sulla “Spiritualità della strada”:
“E’ giusta questa frase? Siamo stai noi ad inventarla? Dobbiamo rispondere di no! Siamo nati per compiere un cammino. Creati autonomi e liberi siamo sulla terra per trovare Dio.
Anche se nati e cresciuti in atmosfera religiosa e cristiana noi dobbiamo, almeno interiormente, compiere questo cammino; ma il tempo e l’ora di ogni passo, di ogni volgere a destra o a sinistradella nostra maturazione, è determinato dagli incontri con le realtà create e con tutte le realtà della storia umana; in modo vivo, attuale, nostro e non solo per apprendimento intellettuale e libresco, che ci fa saccenti e sicuri di noi, ma fragili di fronte alla realtà e perciò ci riduce a bimbi malsicuri e a guide poco sicure per gli altri.
La Route ci richiama a questi incontri, ci impegna a effettuarli gradualmente, ed esige da noi che ogni incontro, ogni crescita, ogni passo innanzi trovi in noi l’accoglienza meditativa, il silenzio che lasci maturare la << parola >> che essi ci recano.
Allora dietro ad ogni parola potrà esserci la scoperta di una Persona,il “Verbo”, il “Cristo”, che organizza con amore paterno di pastore, di Capo, di guida, questi nostri incontri.
I Superiori (i Capi, l’Assistente) non sono che persone di carne e ossa che devono ingombrare il nostro sguardo o far ombra al Cristo; in loro si deve riflettere il Cristo, solo il Cristo, al quale nulla di umano era alieno: nel quale tutto era stato santificato da una assunzione volontaria, amorevole della umanità per redimerla tutta con tutta la sua storia. Le scolte se non trovano il Cristo hanno camminato invano; se non assumono sulle proprie spalle con amore l’umanità così come è l’umanità delle altre scolte, l’umanità di tutti coloro che incontriamo, di quelli che lasciamo ( a casa, a scuola, sulla filovia )¸ se non l’amano tutta intera, non sono ancora Scolte se non vogliono amare con tutto se stesse, non saranno mai Scolte né vi sarà strada o route né spiritualità della route ma solo qualche parola di più per confondere il prossimo che ha fame di Cristo ”.
Parole queste non facili da mettere in pratica: bisogna mettersi in cammino con umiltà e semplicità di spirito:
“ ….. Solo così è possibile conoscere la propria personale vocazione e quindi conoscere se stessi, chi siamo e per quali imprese si sia fatti. Solo così noi possiamo conoscere quale è << quel buco tondo ove va messo il cavicchio tondo e originale che è ognuno di noi (Baden Powell)>>”.
Era difficile seguire le sue orme e stare al suo passo. Quando entrava in azione con le sue idee, le sue “pensate”, le sue iniziative,era un vulcano, metteva a soqquadro tutti quanti capitavano sotto il suo raggio di azione. Non era certamente un sacerdote facile. Coerente fino all’ultimo, esigeva anche da noi una grande coerenza e lealtà di fronte a noi stessi e di fronte agli altri. Le nostre piccole comunità, di Reparto, di Clan o di Fuoco dovevano sapersi aprire sempre meglio e di più agli altri. Talvolta noi giovani capi faticavamo a capirlo, alcune volte anche lo contestavamo, però egli vedeva sempre più avanti di noi.
Ricordo che il periodo d’oro del nostro clan fu quando zi’ Bigio ci spinse a fare “servizio” negli ambienti più disparati. La comunione del clan avveniva poi automaticamente. Erano gli anni in cui operava nella parrocchia di S. Antonio alla “Baia del Re”, accanto al parroco padre Giulio Bevilacqua (il futuro cardinale).
La sua lungimiranza si spinse a preconizzare nel campo della metodologia scout l’educazione mista, ma i tempi allora non erano maturi. Però sperimentò per primo la conduzione femminile dei lupetti, chiamando alla guida del Branco del BS1 scolte e giovani maestre (tra le quali anche la sorella Giacomina provata dalla tragica esperienza della prigionia e deportazione), con ottimi risultati. Era molto amato dai suoi scout. Uno scout del BS 1°, trasferitosi a Milano, così si esprimeva in una lettera indirizzatagli il 6 dicembre del 1949:
“Caro zi’ Bigio,
Le assicuro che dal giorno in cui l’ho salutata per l’ultima volta, ho pensato spesso a lei. Solo ora che sono lontano capisco che aiuto avrei potuto trovare in lei e soprattutto che aiuto potrei trovare ora, e le assicuro caro Padre che ne avrei bisogno. Qui ad Affori non sono ancora riuscito a trovare un Sacerdote nel quale avere pienamente fiducia, ed al quale aprire la mia anima, ora che i problemi più ardui cominciano a presentarsi. Forse lei penserà che manchiamo di un Assistente ecclesiastico. No, abbiamo anche quello, ma è un assistente che ai suoi scout non pensa per niente, e che non riscuote per niente non solo la mia fiducia, ma nemmeno quella di nessun altro scout. Perciò, caro zi’ Bigio, la prego di volermi rispondere dandomi dei consigli e soprattutto dirmi, anche solo approssimativamente, la data di una sua venuta a Milano. Io nel XVIII° Rip. sto benissimo. E’ un riparto che cammina molto bene, anche se ha la grave lacuna a cui le ho accennato prima. Ed ora sperando di vederla presto Le invio i miei più cari saluti, pregandola di voler rivolgere a tutti gli scouts del BS 1 e del BS 10 un fraterno Buona Caccia dal loro fratello scout. Orso Tenace V.C. della SQ. Falchi XVII°I Rip. Milano
Padre Rinaldini, sempre consapevole e memore della ricchezza che anche a lui ha dato l’esperienza scout, ha sempre ricordato con gratitudine i suoi Scout e le sue Guide che così ha ricordato nel testamento spirituale:
“A tutti e tutte coloro che hanno collaborato con me va un grazie grande per gli esempi che mi hanno dato. A Scout e Guide, che poco si ricorderanno di questo vecchio scout, il mio ricordo più vivo, ora e spero dal Paradiso, ove li prego ardentemente di ottenermi di arrivare presto, anche se indegno ”.
Zi’ Bigio, tornato alla casa del Padre il 15 luglio 2001, così l’hanno voluto ricordare i suoi confratelli dell’Oratorio della Pace:
Coraggioso testimone di libertà nella Resistenza,
tenace e creativo operaio nella Chiesa dei giovani e dei poveri,
ha raggiunto in cielo, nel mistero di Dio,
i fratelli Emiliano e Federico e la sorella Giacomina,
come lui “ribelli per amore”.
Nell’ apprendere la notizia un caro amico e vecchio Capo scout del BS1, Cesco Comba, lontano da anni da Brescia, mi mandò questa toccante testimonianza:
“Caro Giovanni,
Erano anni, forse quaranta, che non avevo più avuto l’opportunità di incontrarlo. Una delle ultime volte è stato a Bergamo dove risiedevo appena sposato. Milena e io ce lo siamo visti arrivare una sera di pioggia, con il suo immancabile Galletto, inzuppato. Trascorse con noi la serata e la mattina dopo tornò a Brescia. Di lui ho ricordi fra i più cari e certamente fra quelli che mi hanno dato stimoli e indirizzi per la vita. Tu sai che ho fatto alcune scelte non in sintonia con il cattolicesimo. Dal Bigio, mi piace chiamarlo così come se fosse più che amico, un fratello,ho appreso e compreso altri insegnamenti. La sua esperienza di perseguitato, di fratello di un sacrificato per un ideale, mi ha Indotto a ritenere come essenziale per l’individuo il concetto di Libertà.
L’impegno per gli sbandati della Baia del Re, per le Bande di padre Marcolini, per gli alluvionati del Polesine è stata la sua scuola per la fraternità.
Infine l’umiltà nei confronti di chiunque l’avvicinasse era la sua dichiarazione di sentirsi uguale ad ogni altro uomo.Mi sono rivolto a te, Giovanni, nel caso vi fosse l’intenzione di ricordarlo perché so che tu sei stato molto vicino al Bigio in questi ultimi anni. Un abbraccio fraterno. Cesco, Belluno, 24 luglio 2001
In occasione della ricorrenza del settantesimo di fondazione del BS1 scrivo queste poche e tardive pagine per ricordare Zi’ BIGIO, pietra miliare dello scautismo bresciano.
A corollario trascrivo qui di seguito due ricordi molto significativi: uno scritto proprio da Padre Rinaldini nel 1965 e ripreso da “1945 – 1965 VENTI ANNI DI SCAUTISMO ALLA PACE”, l’altro da un ricordo inviatomi all’inizio del 2014 dall’ amico Carlo Resconi, scout con me della prima ora e capo anch’egli del BS1.
Padre Rinaldini si racconta.
La realizzazione di un sogno: la posa delle prime pietre ….
1-10 giugno 1945:
Prime conversazioni tra P. Olcese, P. Rinaldini, Gabriele Ferrari, Aldo Lucchese, Giacomo Nember servendosi del poco materiale a disposizione gelosamente conservato dall’8 settembre del ’43 che aveva interrotto quanto si stava preparando. Tale materiale portato sui monti con i ribelli aveva anch’esso fatto parte degli ideali della resistenza e dei sogni per il futuro.
Si sceglie di riunire un gruppo di ragazzi dai 12 ai 15 anni, raccogliendolo secondo un criterio un po’ empirico: << quelli buoni e che possono entusiasmarsi dell’ideale scout>>. Si avrà così modo di far loro conoscere cosa è lo scautismo e di scegliere tra loro i capi squadriglia: I migliori e i più anziani (15-16 anni) vengono per intanto fissati come capi squadriglia provvisori.
Il 9 giugno si è riunito il primo gruppo di esploratori, suddivisi in squadriglie provvisorie. Sono stati invitati per il sabato successivo a trovarsi alla Pace per poi studiare insieme qualche nodo, un po’ di morse; combinare per costruire gli angoli di squadriglia.
Così si è continuato per circa un mese, poi si è saliti il sabato in Goletto, S. Gottardo, si è usciti a S. Filippo e ci si è poi ritrovati alla Pace.
Si formavano 8 squadriglie. Esistevano molte possibilità di scelta, ma il numero era troppo forte; di fatti un po’ alla volta se ne è persa la più parte.
15 luglio 1945
Attorno alla metà di luglio si riunirono con lo stesso criterio circa 30 ragazzi dai 15 ai 17 anni per formare un gruppo di “pionieri” (= Rover), dato che i Padri insistevano che non si avesse a lasciar occupare il campo ad altri che pareva potessero accalappiarsi la gioventù’. Per quanto non si fosse completamente d’accordo su questa preoccupazione di precorrersi nell’occupare l’animo dei giovani, si parlò molto seriamente dello scautismo e si cercò di vedere che cosa sarebbe stato possibile fare con questi giovani in possesso ormai di elevate facoltà critiche e quindi non portati al gioco, ma a fare le cose sul serio, e terribilmente ostici a tutto a tutto ciò che a proposito e a sproposito richiamasse la defunta G.I.L.
Fu incaricato di curarsi in modo particolare dei pionieri, come subito si chiamarono, Lucchese, e si iniziò a fare qualche esplorazione lunga con l’intento di mostrare ai ragazzi quanta preparazione essa esigesse, preparazione di cui si era manchevoli e che bisognava ottenere. La cosa riuscì difatti almeno in parte. Credo che presumibilmente dalla fine di luglio alla metà di agosto si siano svolte almeno due esplorazioni alla Maddalena. L’entusiasmo crebbe un poco e noi ci si poté orientare meglio sul da farsi: abbandonare qualcuno, arrabbiarsi spesso, dato che la corrispondenza non era quale si sarebbe voluto. Le assenze erano le più arbitrarie: ciò provocò i primi abbandoni. Le squadriglie vennero ordinate su sette elementi come quelle degli esploratori, e furono dapprincipio quattro. Vennero inventati gli esami di Pioniere semplice (visto che non veniva nulla da Roma) e si incominciò a prepararcisi. Naturalmente erano gli esami di Esploratore semplice col nome mutato.
Agosto 1945:
facilitare la preparazione dei CC.sq. degli Esploratori, si stende in più copie un foglio: <<l’Esploratore>> dattiloscritto da passare loro. Si stende la Legge e viene dato un foglio per preparare in modo particolare l’esame di religione. I C.sq. si riuniscono al lunedì per una conversazione. Sede di riunione in questo tempo sono due aule del dopo scuola. Si riunisce il primo materiale, alcune tende, qualche alpenstock: i ragazzini si procurano soprattutto corde e coltellini, e si fa ciò che si può. Qualche scout torna dalle esplorazioni anche con qualche pietra e, dopo comunicate le prove, alcuni si interessano di sistemare alcuni erbari. Ci si riunisce spesso anche la sera dopo cena con i capi, e non si finisce mai prima delle 22. Nodi e morse, legge ecc., vengono così poco alla volta appresi dai capi. Procediamo con gli esploratori: dopo diremo dei pionieri.
Ai primi di agosto, al roccolo di Büren, con tracce e conseguente perdita delle stesse da parte di una sq. e ricerca della stessa con un lavoro di tre quarti d’ora rinvenendola alla Margherita
Circa il 10 agosto si provvede al primo campeggio per i C.sq. e Vice C.sq. a San Filippo, al primo fuoco, al primo cibo preparato dagli scouts. La cosa riesce entusiasmante per i capi. Ilarità: è la volta che Scalfarotto dice << povero me, è il sacco che guida la bicicletta non io >>, (dato che il sacco era più grosso di lui) e che, a sera, per custodire le biciclette si lega alle stesse con l’ascia in mano; e infine, che l’anguria se ne fugge per il fosso.
Sopraggiunge notizia dal Commissariato (che intanto era nato) che si farà un campo a Caregno. Si accetta ma si desidera fare tende proprie e campo proprio. Occorre prepararsi, si porteranno su quelli che possono fare l’esame di esploratore semplice. Si va un’altra volta a S. Filippo, la sera si dorme sotto la tenda. (E’ di questi tempi la prima riunione avuta al Commissariato, ove si sono scambiate le prime idee e vedute; molte aspirazioni e buona volontà, poca conoscenza del Movimento, il tempo proverà tutto e tutti).
(FINE PRIMA PARTE)