Nel giorno del rito funebre del nostro past-President Giovanni Scandolara, alleghiamo un ricordo del nostro socio Franco Sperolini.
Ho conosciuto Giovanni al Centro Promozione Affidi Familiari, dove io e mia moglie frequentavamo un gruppo di sostegno alle famiglie affidatarie, organizzato dal Centro. Avevamo appena avviato un percorso di affido di un ragazzo undicenne ed eravamo approdati al centro attraverso l’amica Anna Polo.
Giovanni apparteneva a quel gruppo di adulti scout che, con grande lungimiranza, avevano fondato negli anni ’80 il CePAF. Un gruppo di Scout nato subito dopo la guerra nell’oratorio della Pace, fucina del pensiero cristiano e bresciano, operoso, concreto e aperto. Giovanni crebbe e si nutrì di quel vissuto culturale e sociale, diventando un attento interprete e testimone dei valori religiosi e umani che permeavano quel contesto, non rinunciando mai ad agire in prima persona per tradurre in comportamenti concreti gli ideali dello scoutismo nella prospettiva cristiana.
Durante i primi anni della nostra frequentazione del centro abbiamo avuto poche occasioni di incontri personali: Giovanni era poco presente nella vita dei gruppi delle famiglie. Lavorava in modo meno appariscente a sostegno della intera organizzazione del CePAF, sempre accanto all’amico Gino Ricci, e solo più tardi ho avuto modo di comprendere quanto prezioso fosse il lavoro organizzativo, partecipato, puntuale, preciso, che Giovanni, insieme alle molte e ai molti altri volontari del Centro svolgevano. Ancora oggi, quando raggiungo la sede del Centro, sono stupito e ammirato per il rigore e la serietà con la quale tutta la vita e l’attività del Centro è stata documentata e conservata e quanto ciò sia fondamentale per assicurarne la continuità, sia pure in condizioni storiche e sociali differenti.
Il mio rapporto personale con Giovanni è iniziato quando sono stato cooptato nel Direttivo del Centro. Il primo tratto del suo carattere che mi colpì fu la determinazione e il rigore con cui svolgeva i compiti connessi al suo ruolo sia pure in una associazione di volontari quale era ed è il CePAF. Ogni scelta, ogni decisione, discusse e assunte talvolta anche dopo dibattiti accesi, diventava quasi un imperativo etico. Capitava all’epoca che io fossi a volte preso da questioni di lavoro e Giovanni tenacemente mi richiamava agli impegni assunti, con poche concessioni alle dilazioni temporali. Ricordo anche il rispetto profondo e la dedizione nei confronti delle persone che a vario titolo approdavano al centro. Questo suo atteggiamento mi appare come una grande testimonianza dello spirito di servizio che ha permeato la sua vita insieme a quella dei molti volontari che hanno operato nel CePAF.
Come esempio significativo del suo operato voglio ricordare qui, tra le tante, almeno una iniziativa. Mi riferisco al lungo e complesso lavoro, durato anni, che ha impegnato il Centro e Giovanni in prima persona per la redazione del volume “AFFIDO – una realtà in evoluzione – uno sguardo sul mondo dell’affido familiare in provincia di Brescia”.
Il progetto fu fortemente voluto da Giovanni e nacque come indagine storico-sociologica su quanto era stato fatto per promuovere l’affido familiare nel territorio bresciano, a partire dalla famosa legge nazionale 184/1983. E’ stato un lavoro complesso e impegnativo che ha coinvolto tutti gli operatori e i soci del Centro e anche molti soggetti esterni tra i quali un amico di Giovanni, assistente scout dei suoi tempi giovanili, don Antonio Fappani, storico e creatore della fondazione Civiltà bresciana.
Il lavoro di raccolta dati e la stesura della ricerca richiese molto tempo, qualche cedimento nella motivazione e talvolta delle incomprensioni sulle direzioni da prendere. Ma Giovanni, determinato e rigoroso come sempre, ci ha accompagnato fino al traguardo della pubblicazione e del successivo Convegno presso l’Università Cattolica. Durante questo lavoro i nostri incontri sono diventati via via sempre più frequenti e ho avuto modo di scoprire il suo amore per la storia e che lo ha portato a raccogliere una documentazione completa di atti e testimonianze per tramandare la storia del Centro, documentazione da lui consegnata alla Fondazione Civiltà bresciana nell’intento di conservarne così la memoria.
Giovanni aveva profondo il senso della memoria, non come nostalgico ricordo dei tempi passati, ma come ricerca e costruzione della verità. E lo ha dimostrato anche con le sue Lettere al giornale di Brescia, nelle quali ha raccontato avvenimenti da lui vissuti da vicino, come il caso della famiglia Boccacci o il salvataggio di una giovane donna caduta con un gruppo di amici in un crepaccio in montagna e poi unica sopravvissuta. Mi disse che era stato indotto a scrivere di questi fatti per superare con il suo racconto la frettolosità e superficialità delle ricostruzioni giornalistiche.
Non si può, infine, non ricordare la grande avventura della “FRECCIA ROSSA”, il raid Milano-Oslo del 1949, a cui Giovanni partecipò attivamente assieme ad altri 25 rover italiani, lui a cavallo di una piccola moto Guzzi di 65cc. Avevano il compito di portare un messaggio dei mutilatini di don Gnocchi attraverso tutta l’Europa. Tra le macerie e le devastazioni della seconda guerra mondiale, un gruppo di scout portava nei paesi europei un segno di speranza e di fratellanza, assumendo la pace come prospettiva da costruire anche attraverso l’impegno sociale e personale. Per me è un ricordo denso di commozione riandare con la memoria agli incontri avvenuti nella sua casa, quando, accanto alle discussioni legate al lavoro del centro, trovava sempre il tempo per leggere alcuni sui scritti, tra i quali gli appunti legati a quel viaggio in Europa. Ricordo anche la sua commozione quando mi lesse queste parole dalla lettera dei mutilatini di don Gnocchi:” …noi ci vogliamo bene anche se i nostri padri si sono odiati. Vogliamo che tutti si amino e in nome del nostro dolore chiediamo pace fra gli uomini”. Credo che quel resoconto potrebbe essere una lettura ancora molto attuale e una lezione di educazione civica per tutti.
A Giovanni piaceva molto scrivere, e il suo era uno stile asciutto e concreto, privo di retorica, esattamente come lui.
Grazie, Giovanni, di quanto ci hai trasmesso, della tua vitalità, del tuo impegno, della tua testimonianza, persino del tuo rigore. Il tuo ricordo mi e ci accompagnerà, ma soprattutto il tuo esempio ci sarà da stimolo per quanto ancora rimane da fare!
Franco Sperolini