I SENTIMENTI DI GRATIFICAZIONE E DI FRUSTRAZIONE IN ADOLESCENZA
A cura del Dott. Franco Sperolini – CePAF – Brescia
I dizionari definiscono la frustrazione come una situazione psicologica conseguente al mancato appagamento di un bisogno; mentre, al contrario, definiscono la gratificazione come una situazione psicologica di appagamento soprattutto interiore che produce un compiacimento di sé. Freud , quando parla del sentimento di frustrazione, usa un termine tedesco ben preciso, Versagung, (versagen = fallire) non facilmente traducibile in italiano, che si può esprimere con i termini di “rifiuto”, ma anche di “fallimento”. Tommaso Senise, uno psicoanalista, fondatore della psicoanalisi dell’adolescenza in Italia e grande formatore, al posto della parola “frustrazione”, usa anche il termine mortificazione, ossia, “privare di ogni energia vitale, riducendo in uno stato simile alla morte”[1].
- Sentimento di gratificazione
Ciascuno di noi ha sperimentato nella propria storia di vita stati di gratificazione e di frustrazione, ora edificanti, ora distruttivi. All’origine di questi sentimenti c’è l’ambiente familiare (in primis, la madre, poi il padre, nonni, zii, vicini, amici, ecc.) che stimola il bambino a sviluppare le sue competenze e lo gratifica quando le esplicita e le elabora, oppure lo frustra (mortifica) quando si mostra inadeguato. Un esempio a tutti noto è quello del genitore che sollecita il bambino a esibire una competenza specifica appena acquisita: “Fai ‘ciao, ciao’ con la manina al nonno!”. Il bambino lo fa e il genitore esprime con lo sguardo, la mimica del viso e del corpo la sua soddisfazione e gli fa festa. Questa risposta alla prestazione del piccolo è espressione di una emozione di soddisfazione e compiacimento che gratificano il figlioletto. Più il genitore ama il bambino in sé, il suo bene, la sua libertà, più competenze il bambino acquista, più cresce in sé e si sente libero, più la gratificazione è stimolante e vitale (possiamo spiegare anche così questo meccanismo: mamma e papà amano me e le mie competenze specifiche, se aumento la mia competenza, aumento l’amore per me e la loro contentezza).
Attenzione, però: più l’investimento è di natura narcisistica, cioè non sul bambino in sé ma sul bambino in quanto oggetto di abilità materno-paterne, sul bambino come oggetto pregiato posseduto dalla madre/padre, più la gratificazione non è sostanziale per il bambino in quanto non sollecita nel bambino investimenti congrui; ossia, l’amore del bambino investe il successo e non la competenza in sé e diventa uno strumento di potere sul genitore. Questo avviene quando il bambino risponde con competenza a richieste genitoriali.
- Sentimento di frustrazione.
Quando, invece, il bambino non risponde alle richieste o la risposta è inadeguata, il genitore può manifestare la sua delusione attraverso emozioni di scontento, depressive, sia pure affettuose e rassicuranti, se il suo investimento è congruo; oppure può assumere atteggiamenti dispregiativi, colpevolizzanti, minacciosi o rabbiosi, se il suo investimento è narcisistico.
Nel primo caso (atteggiamento di delusione), il messaggio che giunge al bambino può esser riassunto così: “ti amo, hai valore per me, anche se sei stato inadeguato, ma sarai e sarò più contento se tu acquisti competenza”.
Nel secondo caso (atteggiamento dispregiativo colpevolizzante), il messaggio cambia radicalmente e diventa: “Tu sei un bambino senza valore, perché inadeguato, tu non mi ami abbastanza, se non riesci ad esser competente, non posso amarti, ti odio”.
Ora, se analizziamo più a fondo il primo caso, vediamo che il bambino ha una consonanza depressiva con la madre che possiamo chiamare “mortificazione vivificante” nella misura in cui stimola in lui tensione depressiva attiva verso l’acquisizione di competenze che sono congrue, ossia, ciò che il genitore desidera, e anche il bambino, è una consonanza di lei con lui e di lui con lei.
Mentre se guardiamo bene il secondo caso, vediamo che il bambino è minacciato della perdita di valore perché non è adeguato al compito che l’adulto (madre) gli ha assegnato/imposto, ma anche per la perdita di amore; teme, inoltre, che il genitore non si senta amato e per questo possa fargli del male. Vive, insomma, una situazione emotiva di depressione sconsolata, si sente minacciato di annientamento.
A questo punto si possono dare due esiti.
a) O piange disperato in una situazione di tensione depressiva passiva; è una “mortificazione mortifera passiva” in quanto annulla la tensione vitale edificante, costruttiva.
b) Oppure, reagisce con una tensione depressiva rabbiosa che si estrinseca in atti aggressivi verso i genitori, sé stesso o contro oggetti sostitutivi. Queste situazioni, col tempo, quando si sarà attenuata la rabbia, possono sfociare in una mortificazione che stimola e genera la competenza mancante, ma dirige l’investimento non sulla competenza in sé, ma su abilità che la sostiene in quanto mezzo per conquistare l’amore del genitore, non per fare crescere se stesso. Il bambino, allora, sviluppa un atteggiamento competitivo che alimenta la patologia narcisistica frequente e di varia intensità, caratterizzata da tematiche scacco-successo.
Mortificazione/frustrazione e vergogna
Questi sentimenti che possono apparire simili, hanno però alcuni aspetti molto diversi sia nell’espressione, sia nella loro origine.
Il sentimento di mortificazione/frustrazione è un sentire se stessi inadeguati o privi di competenza, nasce dalla profondità del Sé ed ha una origine più primitiva, mentre la vergogna (e il pudore) è un sentire se stessi nell’apparire inadeguati, incapaci di usare in modo conforme un controllo sulle proprie competenze (ad esempio, il controllo degli sfinteri, dell’ano e della minzione (caratteristiche della fase anale dello sviluppo) e sono sentimenti molto connessi con il vedere, essere visti, essere scoperti, (situazioni molto frequenti in particolare nella adolescenza). La vergogna e il pudore si esprimono più con il disagio che con la depressione.
Giova qui ricordare come questi sentimenti hanno un loro sigillo antichissimo nell’episodio biblico della cacciata di Adamo ed Eva dal paradiso terrestre, quando “i loro occhi si aprirono e si resero conto di essere nudi….” (Genesi 3,7).
(17/01/2021 F.S.)
franco.sperolini@gmail.com
[1] M. Aliprandi, E. Pelanda, T. Senise, “Psicoterapia breve di individuazione – la metodologia di Tommaso Senise nella consultazione con l’adolescente”, ed. Feltrinelli MI 1990.